Il Ministero del Lavoro si è pronunciato in merito al seguente quesito: un Ente del Terzo Settore, ai sensi dell’articolo 26 del Codice, può avere un organo di amministrazione monocratico o tale organo deve necessariamente avere composizione collegiale?
Due sono le posizioni dottrinali sul punto: la prima secondo cui, in assenza di specifiche previsioni, la configurazione monocratica può ritenersi ammissibile; la seconda, invece, sulla base delle espressioni utilizzate dal legislatore e dal favor partecipationis alla base del Codice, ipotizza la necessità di una composizione plurale dell’organo di amministrazione.
Tra i fautori della possibilità di configurazione monocratica sono anche coloro che, in considerazione del rinvio generale operato dal Codice del Terzo settore alle disposizioni del codice civile “in quanto compatibili” (art. 3 comma 2) nonché del rinvio specifico a puntuali norme poste dal codice civile in materia societaria ritengono possibile un’applicazione analogica delle norme in materia di società, in particolare, nel caso di specie, quelle che consentono di optare per un’amministrazione unipersonale in alternativa a quella di tipo collegiale.
Tale ricostruzione è però criticata dal Ministero con la seguente condivisibile argomentazione: il rinvio a puntuali disposizioni della disciplina delle società, in materia di conflitto di interessi, di responsabilità degli amministratori, di cause di ineleggibilità e decadenza degli stessi, proprio per la sua specificità e limitatezza, sembra volto a profilare un quadro puntuale di garanzie più che a consentire una generale applicabilità agli enti del Terzo settore dei modelli organizzativi di tipo societario.
Per i sostenitori del secondo orientamento, nella disciplina degli organi rinvenibile nel Codice, il legislatore ha espressamente previsto in capo all’ente la facoltà di decidere tra organo di controllo monocratico o collegiale solo nelle norme che disciplinano l’organo di controllo.
La risposta al quesito del Ministero, adottata con Nota n. 9313 del 16 settembre scorso, tiene conto, oltre che delle suesposte considerazioni, anche del fatto che il Codice prevede molteplici tipologie di enti che rappresentano la proposta di modelli organizzativi che disegnano assetti e rapporti diversi tra gli organi dell’ente in grado di garantire il miglior raggiungimento degli scopi istituzionali.
Tuttavia, il richiamo al principio dell’autonomia degli ETS, particolarmente quella organizzativa, non giustifica la tesi di quanti sostengono, in termini assoluti, che la nomina di un amministratore unico possa ritenersi sempre consentita “in assenza di una disposizione che obblighi alla necessaria collegialità dell’organo”. Tale autonomia, infatti, deve essere intesa come funzionale all’individuazione di assetti organizzativi coerenti con le finalità e le caratteristiche dell’ente.
Al contrario, l’utilizzo nell’articolo 26 del termine “amministratori” al plurale, la mancata previsione in caso di organo di amministrazione dell’espressa possibilità di una costituzione monocratica dell’organo a differenza di quanto previsto nel caso dell’organo di controllo, nonché soprattutto le previsioni dei commi 2, 4 e 5 inducono a ritenere che il legislatore abbia ipotizzato una composizione collegiale dell’organo.
Tuttavia, è necessario ricordare che ai sensi del comma 1 e della collocazione specifica dell’articolo, quest’ultimo è applicabile non alla generalità degli ETS ma alle associazioni del Terzo settore e, con alcune limitazioni, alle fondazioni del Terzo settore. Nello specifico, per espressa previsione del comma 8, a queste ultime si applicano i commi 3, 6 e 7, che si ritengono conciliabili anche con una composizione monocratica dell’organo di amministrazione.
Conseguentemente, la diversa natura dell’organo di amministrazione e dei rapporti con gli altri organi e con l’esterno nelle due tipologie di ente potrebbe suggerire, sotto un profilo sistematico ancor più che per effetto della lettura testuale delle norme, la preferibilità di una composizione collegiale dell’organo di amministrazione nel caso delle associazioni e per altro verso, la possibilità di un amministrazione monocratica nelle fondazioni, ferma restando l’obbligatorietà dell’individuazione puntuale da parte dello statuto delle caratteristiche dell’organo.
In tale contesto, in termini di estrema residualità si può configurare l’ipotesi diversa in cui, nel caso di associazioni in fase di costituzione, sia possibile l’individuazione nell’atto costitutivo di un organo di amministrazione monocratico temporaneo con il rinvio ad una integrazione elettiva dell’organo stesso entro un determinato periodo.
Anche in caso di enti religiosi civilmente riconosciuti, il regolamento che disciplina lo svolgimento delle attività ai fini dell’iscrizione al Registro unico nazionale del Terzo settore può prevedere che l’amministrazione sia affidata ad un organismo di carattere monocratico. Infatti, in tal caso l’applicazione del Codice riguarda soltanto lo svolgimento delle attività di cui all’articolo 5 del Codice, così da salvaguardare il rispetto della struttura e della finalità di tali enti, sulla base di accordi tra l’ordinamento italiano e altri ordinamenti giuridici in cui detti enti si trovano ad operare.