Tenendo conto della loro particolare natura, l’art. 4, comma 3, del Codice del Terzo Settore e l’art. 1, comma 3, del D.Lgs. n. 112/2017 individuano i limiti e le condizioni di applicabilità della Riforma del Terzo Settore nei confronti degli enti religiosi civilmente riconosciuti.

La soggezione alle norme di diritto canonico e il perseguimento di finalità di religione e di culto sono caratteristiche strutturali irrinunciabili degli enti ecclesiastici, in forza di cui questi, pur svolgendo attività d’interesse generale, non possono assumere né la qualifica di Ente del Terzo Settore né quella di Impresa Sociale. Il perseguimento delle attività di cui all’art. 5, D.Lgs. n. 117/2017 dovrà quindi avvenire necessariamente costituendo all’interno della struttura organizzativa degli enti, seppure nel pieno rispetto di questa e delle loro finalità, un “ramo” ETS o IS, a seconda che le suddette attività siano svolte in forma imprenditoriale o non imprenditoriale. Una soluzione che il legislatore ha adottato in continuità con quanto già previsto ai sensi dell’art. 10, comma 9, D.Lgs. n. 460/1997 (“Riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale”).

Dall’appartenenza al Terzo Settore, nei confronti degli enti religiosi civilmente riconosciuti potranno derivare agevolazioni fiscali ulteriori rispetto a quelle di cui già beneficiano ex lege in qualità di enti non commerciali (art. 149, comma 4, T.U.I.R.; art. 6, D.P.R. n. 601/1973; art. 3, D.P.R. n. 346/1990), ma anche la possibilità di accesso a contributi pubblici la cui erogazione sarà subordinata all’iscrizione nel RUNTS.