Ai sensi dell’art. 149, comma 1, del DPR n. 917/1986, la qualifica di ente non commerciale può essere perduta qualora l’ente eserciti prevalentemente attività commerciale per un intero periodo d’imposta. Il comma 2 chiarisce i parametri da considerare per la perdita della qualifica.
La norma cardine per gli enti ecclesiastici è però quella di cui al comma 4: “le disposizioni di cui ai commi uno e due non si applicano agli enti ecclesiastici riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili ed alle associazioni sportive dilettantistiche”.
Sull’interpretazione di questo quarto comma si sono sviluppate due tesi contrapposte.
Per la prima gli enti ecclesiastici non possono mai perdere la qualifica di “enti non commerciali”, neppure quando svolgono attività commerciale prevalente, in base ai parametri di cui alla norma suddetta. Vi sarebbe una implicita conferma dalla relazione di accompagnamento al D.Lgs. n. 460 del 1997, tale per cui gli enti ecclesiastici potrebbero essere definiti come enti commerciali “di diritto”. Il riconoscimento civile come ente ecclesiastico presuppone sempre che il medesimo abbia ad oggetto esclusivo o principale un’attività di religione o di culto, che non può mai essere commerciale. In dottrina si è ritenuto che gli enti ecclesiastici non possono mai perdere la loro connotazione di enti non commerciali, in quanto quasi tutte le attività commerciali svolte da tali enti, altro non sono che le attività nelle quali, dalla loro fondazione, si svolge l’apostolato delle singole congregazioni e che, pertanto, anche se svolta in forma organizzata, non modificano lo “spirito originale di missione religiosa”. Si tratterebbe, insomma, di una praesumptio iuris ac de iure di non commercialità della attività degli enti ecclesiastici.
Per il secondo orientamento, che è quello ritenuto condivisibile dalla Cassazione, il comma in esame detta solo la regola che per gli enti ecclesiastici (e le associazioni sportive dilettantistiche) non è sufficiente svolgere attività prevalente per un solo esercizio per perdere la qualifica di “ente non commerciale”, ma occorre che nel corso dei vari anni di attività l’ente ecclesiastico abbia in realtà svolto in prevalenza attività commerciale. L’art. 149, comma 4, quindi attiene solo al “singolo esercizio” di attività ed impedisce che l’ente ecclesiastico perda la qualifica di “ente non commerciale” se lo “sforamento” dai parametri avvenga in un “singolo esercizio”, ma se tale “sforamento” avviene in più esercizi, allora, la natura di “ente non commerciale” può venire meno.