Con Nota n. 2243 del 4 marzo scorso il Ministero del Lavoro ha fornito chiarimenti sull’articolo 4, comma 2, del Codice del Terzo settore con riferimento alla direzione, coordinamento e controllo degli enti del Terzo settore.

Come noto, il comma citato prevede che “non sono enti del Terzo settore le amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del D.lgs. n. 165/2001, le formazioni e le associazioni politiche, i sindacati, le associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche, le associazioni di datori di lavoro” (ai quali per brevità si farà riferimento, nel prosieguo, anche come “soggetti esclusi”), “nonché gli enti sottoposti a direzione e coordinamento o controllati dai suddetti enti”. Il medesimo comma prevede, con riferimento alle suddette situazioni di esclusione alcune eccezioni, aventi carattere tassativo: (i) i soggetti operanti nel settore della protezione civile; (ii) i corpi volontari dei vigili del fuoco delle Province autonome di Trento e di Bolzano e della Regione autonoma della Valle d’Aosta; (iii) le associazioni o fondazioni di diritto privato ex IPAB derivanti dai processi di trasformazione delle istituzioni pubbliche di assistenza o beneficenza.

Premesso ciò, si deve in primo luogo prendere in considerazione l’articolo 2359 del codice civile, secondo il quale la situazione di controllo in ambito societario può ricorrere nelle seguenti situazioni: a) può derivare da una partecipazione maggioritaria al capitale di una società, tale da determinare la disponibilità della maggioranza di voti esercitabili nell’assemblea ordinaria (c.d. “controllo interno di diritto”); b) può derivare da una partecipazione minoritaria, la quale tuttavia per la presenza di azioni senza diritto di voto o per l’assenteismo diffuso degli altri azionisti, consenta di far prevalere la propria volontà nell’assemblea ordinaria e quindi imprimere, attraverso la nomina degli amministratori e dei sindaci, l’indirizzo amministrativo della società: ciò determinerebbe una disponibilità di voti comunque sufficienti per esercitare un’influenza dominante nella medesima assemblea ordinaria (c.d. “controllo interno di fatto”); c) può derivare, inoltre, da particolari vincoli contrattuali che consentono ad un soggetto di esercitare un’influenza dominante sulla società (c.d. “controllo esterno di fatto”).

È evidente che la situazione di controllo non potrà essere indagata negli enti del Terzo settore con riferimento alla misura della partecipazione al capitale. La sussistenza del controllo, tuttavia, potrebbe essere verificata con riferimento all’effetto che la partecipazione maggioritaria determina negli enti (ad es. la disponibilità della maggioranza di voti esercitabili negli organi decisionali dell’ente). In altri termini, il controllo “di diritto” può verificarsi laddove l’atto costitutivo e lo statuto riservino ad un determinato soggetto escluso (oppure ad un insieme di soggetti esclusi, anche appartenenti a diverse tipologie di essi) la maggioranza dei voti esercitabili nell’organo assembleare, di indirizzo o nell’organo amministrativo.

Un’ ipotesi di controllo può determinarsi anche “di fatto”: in questo caso non emerge necessariamente dall’esame dell’atto costitutivo o dello statuto ma può risultare da situazioni oggettivamente riscontrabili alla luce delle circostanze del caso concreto, ad esempio, dall’esame delle deliberazioni degli organi in grado di indirizzare l’attività dell’ente, con particolare riferimento a quelli amministrativi. Un eventuale “controllo esterno” potrebbe allo stesso modo risultare nel caso in cui emerga l’esistenza di appositi accordi di natura contrattuale tra due o più enti, dei quali quello (o quelli) appartenente alle categorie escluse, sia posto in condizione, in virtù di tali accordi, di esercitare un’influenza dominante sull’altro, determinandone gli indirizzi gestionali.

Considerazioni simili possono essere effettuate con riferimento alle ipotesi di “direzione e coordinamento”. Le disposizioni del codice civile non contengono una specifica nozione di attività di direzione e coordinamento, che può essere identificata come un’attività di “gestione unitaria” o “direzione unitaria”, intesa come elemento qualificante un gruppo di enti, che deve essere valutata in concreto, sulla base di elementi suscettibili di indicare un’effettiva influenza sulla gestione dell’ente da parte del soggetto “escluso”.

Alcuni potenziali indici di una simile “etero-direzione” potrebbero essere desunti dalla sussistenza di una delle situazioni alle quali l’ordinamento ricollega una presunzione in tema di attività di direzione e coordinamento. Sul punto è opportuno ricordare, in particolare, che ai sensi dell’art. 2497-sexies del codice civile, si presume, salvo prova contraria, che l’attività di direzione e coordinamento di società sia esercitata dalla società o ente tenuto al consolidamento dei loro bilanci, o che comunque le controlla ai sensi del già richiamato articolo 2359 del codice civile.

Per quanto concerne le IMPRESE SOCIALI trova applicazione la specifica disciplina.

L’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 112/2017 prevede che “non possono acquisire la qualifica di impresa sociale le società costituite da un unico socio persona fisica, le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, e gli enti i cui atti costitutivi limitino, anche indirettamente, l’erogazione dei beni e dei servizi in favore dei soli soci o associati”.

Inoltre, ai sensi dell’art. 4, comma 3, “le società costituite da un unico socio persona fisica, gli enti con scopo di lucro e le amministrazioni pubbliche… non possono esercitare attività di direzione e coordinamento o detenere, in qualsiasi forma, anche analoga, congiunta o indiretta, il controllo di un’impresa sociale ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile”.

Alla medesima esigenza di prevenire l’esercizio di una ingerenza o influenza indebita che possa sviare l’ente dalle sue finalità o dal suo carattere privatistico, deve essere ricondotto l’art. 7 del medesimo decreto 112/2017 che, dopo aver ribadito al comma 1 che “L’atto costitutivo o lo statuto possono riservare a soggetti esterni all’impresa sociale la nomina di componenti degli organi sociali”, ma “in ogni caso, la nomina della maggioranza dei componenti dell’organo di amministrazione è riservata all’assemblea degli associati o dei soci dell’impresa sociale”, sancisce, al comma 2, che “Non possono assumere la presidenza dell’impresa sociale rappresentanti degli enti di cui all’articolo 4, comma 3”.

Un’interpretazione autentica del comma 2 e in particolare del termine “rappresentanti” è rinvenibile nella relazione illustrativa al decreto legislativo n.112/2017, dove essi sono definiti “soggetti nominati da pubbliche amministrazioni e da enti con scopo di lucro”. Quindi la norma in questione, di per sé, non vieta che un soggetto che assume la presidenza dell’impresa sociale ricopra, contestualmente, un incarico implicante poteri specifici nell’ambito di un soggetto escluso, se quest’ultimo non ha alcun rapporto con l’impresa sociale; ma piuttosto che il soggetto escluso lo individui e lo ponga, all’interno dell’organo di amministrazione come proprio rappresentante, qualora, anche con atto successivo, l’individuo in questione assuma all’interno di tale organo di amministrazione la qualifica di presidente.

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